Uso degli antibiotici in Italia

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  • #8152
    Sara Tedeschi
    Partecipante

    Due settimane fa Quotidianosanità pubblica un articolo sull’uso degli antibiotici in Italia (ecco il link: http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=41185).
    Ricevo in proposito diversi commenti e “chiamate alle armi”, ma solo da parte di colleghi non infettivologi…

    Che ne pensate?

    #8154
    Marcello Trizzino
    Partecipante

    Non vi è dubbio che in Italia la resistenza agli antibiotici è tra le più elevate in Europa. Io credo che quello che occorre sia un cambiamento culturale a cui sono chiamati sia i medici che i pazienti, per ridare un valore ad una risorsa terapeutica di fondamentale importanza. Il cammino secondo me dovrebbe fondarsi su due aspetti, uno è appunto il cambiamento culturale che porti ad un uso appropriato degli antibiotici al fine di prolungarne la vita e ridurre l’abuso, l’altro indubbiamente è l’introduzione di terapie innovative. A tal proposito cito l’iniziativa di IDSA 10×20, e cioè di creare 10 molecole innovative entro il 2020 (http://www.idsociety.org/10×20/). Dall’altro lato lo sviluppo di nuove metodiche diagnostiche, si pensi ai marcatori genetici associati a batteri carbapenemi-resistenti. Senza dimenticare l’importanza delle vaccinazioni come ad esempio quella anti-pneumococcica.

    #8158
    Alessandra Oliva
    Partecipante

    Sicuramente in Italia a livello territoriale c’è scarsa cultura e conoscenza dei danni (in termini di selezione di resistenze) che l’eccessivo utizzo di antibiotici può dare (penso ad esempio ai fluorochinoloni).
    A livello ospedaliero sicuramente quello che è il futuro (e da qulache parte il presente, come da poco avviene al Policlinico Umberto I di Roma dove lavoro) è lo sviluppo di un team di infettivologi che abbia un ruolo di antimicrobial stewardship e che utilizzi in modo appropriato gli antibiotici.a tal proposito vi suggerisco questa metanalisi http://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(16)00065-7/abstract

    #8258
    Marco Ripa
    Partecipante

    Ciao,

    altra problematica che spesso capita di affrontare riguarda la durata della terapia antibiotica impostata. Non ci si dovrebbe focalizzare unicamente sulla scelta di molecole adeguate ma anche cercare di non abusarne prolungando inutilmente un ciclo di terapia. A tale proposito vi allego le recenti nuove indicazioni IDSA per la terapia delle hospital-acquired e ventilator-associated pneumonia, in cui viene raccomandata in linea di massima una terapia non superiore a 7 giorni totali (salvo eccezioni particolari). http://cid.oxfordjournals.org/content/early/2016/07/06/cid.ciw353.full
    Credo che anche questo sia un tema su cui focalizzarsi, che ne pensate? Di certo con la stewardship si dovrebbe affrontare anche questo aspetto.

    Ciao.

    Marco

    #8262
    Sara Tedeschi
    Partecipante

    Sicuramente la durata della terapia antibiotica è un tema importantissimo e anche piuttosto dibattuto.
    Per le polmoniti di comunità ormai dovrebbe essere passato il concetto chiaramente espresso dalla linee guida che vanno trattate con antibiotici fino al raggiungimento della stabilità clinica (o poco oltre). Ma nella pratica clinica questo spesso non succede, anche se le evidenze a supporto di questa pratica sono scarse.
    Vi segnalo a proposito due lavori.
    http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19926738
    http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25692271

    Nel nostro centro già da qualche anno abbiamo sposato la causa della terapia antibiotica “breve” per le polmoniti di comunità, senza incontrare problemi clinici.
    Ma la resistenza, specie nel mondo internistico, è ancora abbastanza forte!

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